RULA JEBREAL AL FESTIVAL DI SANREMO
“FACCIAMO TUTTI UN PASSO IN AVANTI!”
La giornalista, scrittrice e sceneggiatrice israeliana che a vent’anni è giunta in Italia dopo una lunga esperienza in collegio, al quale era stata affidata dal padre perché rimasta orfana della madre Zakia, che si diede fuoco quando Rula aveva solo 5 anni. Zaika non era riuscita a superare il dolore e l’angoscia del ricordo delle reiterate violenze subite probabilmente da “un carnefice che aveva le chiavi di casa”.
La sua è la storia di una donna che ha potuto riscattare un destino femminile di abuso e violenza: violenza delle idee e conseguentemente violenza dei comportamenti. Ha potuto farlo grazie ad un’altra figura femminile, la direttrice del collegio che era diventata la sua casa dopo il suicidio della madre e per ancora 14 anni, gli anni in cui si stava costruendo la sua identità di donna e di individuo.
Nel suo toccante monologo sul palco del teatro Ariston nel corso della prima serata del Festival di Sanremo 2020 Rula ricorda la sua esperienza e si riferisce al gesto estremo della madre come di una donna “schiacciata dal senso di colpa, brutalizzata due volte: da un uomo quando aveva 13 anni, e dal sistema che l’ha costretta al silenzio”.
L’appello implicito dunque parrebbe essere quello di rompere il silenzio, di fare tutti un passo avanti. Ma come farlo quando ancora nei tribunali di tutto il mondo si colpevolizzano le vittime per aver favorito gli abusi cui sono state costrette? Per aver indossato un pantaloncino troppo corto o una maglietta troppo scollata?
Rula invoca il supporto delle donne nei confronti di altre donne e chiede aiuto anche agli uomini, affinché si indignino, insieme a loro, quando a queste viene chiesto cosa abbiano fatto per aver provocato l’abuso.
Sono riconoscente a Rula Jebreal per aver portato un momento di riflessione su un tema così importante durante uno spazio televisivo dedicato allo svago. Ma la mia indignazione va alle istituzioni che dovrebbero vigilare sulla dignità e l’educazione delle persone. Enti che sono molto presenti nella nostra vista quotidiana, come la TV che entra prepotentemente nelle nostre case. Enti che mentre accolgono – e probabilmente organizzano – un contributo significativo che dia voce alle donne che non hanno parola, contemporaneamente non prendono posizione rispetto alla partecipazione alla stessa edizione del Festival di Sanremo di un cantante (per favore, non chiamiamolo artista!) che purtroppo ha fatto proseliti tra i giovani.
Junior Cally ha potuto pensare, realizzare, pubblicare e diffondere – grazie a istituzioni e enti pubblici e privati conniventi perché interessati solo al guadagno – un brano terribile e, se ciò non bastasse, anche un eloquente videoclip, dove si inneggia alla violenza, al disprezzo per la donna, alla sopraffazione, all’ignoranza, alla volgarità.
Insieme al “passo in avanti” invocato da Rula Jebreal, dovremmo anche “voltarci indietro” e cercare di capire dove la nostra società ha perso la capacità di proteggere i nostri giovani dalla mercificazione della loro fragilità. Le istituzioni che dovrebbero avere a cuore il futuro dell’umanità, la continuazione della specie umana ed auspicabilmente il suo anelito verso la spiritualità dovrebbero riscoprire l’amore e l’impegno verso una educazione sentimentale che richiede tempo e cura. I sentimenti, come i valori, vanno custoditi, tramandati e protetti, come fa una “buona madre” nei confronti dei propri figli.
Il famoso poeta Khalil Gibran, libanese naturalizzato americano, diceva che tenerezza e gentilezza non sono sintomo di disperazione e debolezza, ma espressione di forza e determinazione. Gibran ha cercato di unire nelle sue opere la civiltà occidentale e quella orientale, in una accettazione degli opposti e del “diverso” di cui ora abbiamo perso la capacità. È il “diverso da noi” nei confronti del quale indirizziamo la nostra aggressività per metterla “fuori di noi”. E il diverso può essere incarnato dal gruppo delle donne, da quello degli arabi, da un partito politico, da un credo religioso, da un’etnia differente dalla nostra.