ANSIA PER GLI ESAMI O PAURA DEL GIUDIZIO?
Provare ansia per una situazione sconosciuta è comprensibilie. Provare ansia di fronte ad un esame è atteso: dopotutto l’esito di quella prova avrà delle conseguenze. Ma ciò che ci disturba maggiormente è forse l’idea di essere esaminati da qualcuno che ci valuterà: misurerà nostre conoscenze, la nostra preparazione, le nostre competenze. Il punto è che un assioma fuorviante ci porta a immaginare che questi aspetti siano sovrapposti perfettamente al valore della nostra persona. Un esame non superato, una prova non totalmente soddisfacente non significa che noi come individui non siamo abbastanza: sufficientemente accettabili, sufficientemente apprezzabili.
Se quindi diamo per scontato che un esame solleciti sempre le nostre emozioni ed evochi a livello profondo situazioni passate in cui ci siamo sentiti gidicati e abbiamo quindi immaginato di non essere voluti, è tuttavia necessario distinguere l’intensità della difficoltà percepita da un individuo e quanto questa incida sul suo comportamento. Un conto infatti è essere in ansia per una esame, non necessariamente un esame scoltastico ma una valutazine che può riguardare altri ambiti della nostra vita, come l’esame di guida, o una presentazione ad un congresso, o anche più semplicemente l’occasione di esporre le proprie idee pubblicamente anche se in un contesto conosciuto come un gruppo di lavoro o la propria classe scolastica: per un certo tempo tutta l’attenzione viene focalizzata su di noi. Si tratta di un’ansia in qualche modo prevista e prevedibile. Altra cosa invece è quando questo timore diventa così rilevante da inibire un comportamento, impedendo quindi la realizzazione di un compito: in questo caso siamo di fronte a quella che alcuni hanno denominato testofobia, che rischia di bloccare la persona nel suo sviluppo personale sia nella sua vita privata, sia in quella professionale.
Le fobie sono sempre irrazionali. La paura degli esami spesso non lo è. Nel senso che si è comunque di fronte ad prova che non dipende solo da fattori esterni che sfuggono al nostro controllo(come avviene nell’ansia percepita in presenza di aerofobia, agorafobia, claustrofobia, ecc.), ma comporta il giudizio da parte di altri rispetto alle nostre competenze e capacità (di dimostrarle).
Come per le altre fobie, la psicologia cognitivo-comportamentale ritiene che un modo per superarle sia esporsi ripetutamente alla difficoltà attraverso ripetute simulazioni di quella specifica situazione. Il concetto alla base è quello dell’esposizione allo stimolo fobico e all’abituazione che rende gradualmente superabile una una difficoltà ritenuta insormontabile. Se parliamo allora degli esami scolastici, può aiutare esercitarsi a sostenere l’esame ripetendo a voce alta i contenuti che saranno oggetto di verifica in modo da padroneggiarne la conoscenza, esercitarsi a scegliere il vocabolario più adatto a comunicarne i concetti per controllare l’ansia.
La visualizzazione delle situazioni che creano ansia può aiutare ad avvicinarsi gradualmente allo stimolo disturbante.
Vero è che la paura dell’esame non sempre corrisponde con l’oggettiva preparazione dell’individuo che lo deve sostenere: c’è chi arriva all’esame abbastanza impreparato ma emotivamente rilassato, e chi pur conoscendo ogni piccolo dettaglio della materia oggetto di verifica entra in un vero e proprio stato di agitazione.
Allora dove sta il punto?
UNA QUESTIONE DI AUTOSTIMA
La psicoanalisi invece guarda al problema tenendo in considerazione altri aspetti. Credo allora che stiamo parlando anche della paura di non essere all’altezza di un compito, della difficoltà a riconoscere le proprie capacità, della paura di essere giudicati insufficienti da parte dell’Altro e quindi non accettati, non amati.
I ragazzi hanno a che fare con queste emozioni quotidianamente nel corso del loro sviluppo adolescenziale. Si tratta di un percorso tortuoso che risente di aspetti che non hanno nulla a che vedere con la materia da conoscere o la preparazione raggiunta, ma che hanno a che fare con l’autostima e con le conseguenze (reali o immaginate) che dal non superamento della prova potrebbero derivare. Ha a che vedere con le aspettative che i loro adulti di riferimento hanno riposto in loro, con il bisogno di dimostrare il proprio valore, l’impossibilità di immaginarsi capaci di fronte ad una serie di ripetuti fallimenti che ormai hanno stigmatizzato il giovane, impedendo di dargli e di darsi fiducia e speranza.
Allora la soluzione migliore sarebbe quella di poter ottenere le rassicurazioninecessarie a comprendere che egli non è l’esame che deve affrontare, che l’amore delle persone per lui significative non è condizionato da questo esito, che una prova non superata può essere ripetuta, che nulla è mai perduto per sempre.
In un mondo che chiede ai ragazzi di dimostrare e di possedere e poco si interessa alla loro interiorità e spiritualità, non superare l’esame equivale ad un fallimento che crea discriminazione proprio nel gruppo dei pari.
Studiare insieme permette di comprendere che la fragilità che egli avverte è comune ad altri.
Poter affrontare questi argomenti in gruppo con i ragazzi laddove loro si riuniscono, a scuola ad esempio, poterne parlare in famiglia, poter esprimere il proprio timore e cercare di comprenderne le origini per condividere, riconoscere, dare un nome alle emozioni, ottenere rassicurazioni significa dare parola ad emozioni che necessitano di essere riconosciute ed espresse.