LA GUERRA È PRIVA DI SENSO. COME CI COMPORTIAMO CON I BAMBINI?
In questo momento di tensione internazionale, in cui gli schermi dei televisori si sono improvvisamente svuotati di immagini dolorose legate al Covid per lasciare spazio alla sofferenza di migliaia i esseri umani e di bambini innocenti per l’invasione russa in Ucraina, i genitori si stanno ancora una volta interrogando rispetto al loro compito di fronte ad un nuovo dramma che potrebbe coinvolgerci da vicino.
Come affrontare questo tema con i bambini? E soprattutto, bisogna parlarne?
Possiamo pensare che un bimbo che gioca sul pavimento del salotto mentre il telegiornale presenta immagini angoscianti non sia attraversato da emozioni, non senta l’angoscia? Ci può bastare il fatto che non faccia domande? Dovremmo affrontare noi l’argomento con i nostri figli?
Difficile rispondere in modo univoco. Tante sono le variabili quante le diverse situazioni: l’età del bambino, in primis: un bambino di cinque anni non ha la consapevolezza di un ragazzino di dodici, che, se messo in condizione di farlo, riesce probabilmente a formulare una domanda in maniera compiuta. Sicuramente il modo in cui questo tema è avvertito, il livello di allerta presente in quella famiglia per le conseguenze che un conflitto potrebbe portare a livello economico o per l’eventualità che anche l’Europa possa divenire teatro di quel dolore che per ora vediamo solo in TV, così come la possibilità che invece si abbiano parenti o amici ucraini già in pericolo reale, fa la differenza. E tante altre sono le variabili in gioco.
Quali sono le domande che il bambino si sta ponendo?
Soffermiamoci ad osservare e ad ascoltare i bambini e i ragazzi prima di fornire loro spiegazioni. Cerchiamo di capire quali sono le informazioni già in loro possesso, dove, come e da chi le hanno ricevute, e permettiamo loro di esprimersi cominciando ad ascoltarli senza giudicarli, ognuno per il proprio livello di sviluppo, piuttosto che privarci di questa possibilità trasferendo opinioni, ansie e timori che forse appartengono soprattutto a noi adulti.
Immaginiamo che la loro richiesta sia piuttosto quella di ricevere rassicurazioni sul piano emotivo, prima che informazioni a livello cognitivo. Hanno sicuramente la necessità di sapere che i loro genitori sono accanto a loro, e può servire aiutarli a comprendere che vi sono situazioni difficili nella vita che esulano dalle nostre facoltà di modificare la realtà ma alle quali insieme possiamo pensare di far fronte, reggendo la difficoltà di non avere risposte immediate e nemmeno certe.
Forse ciò che possiamo mostrare loro è che le differenze di vedute, di pensieri, di carattere, di religione, i diversi modi di sentire le emozioni e di percepire il mondo attorno a noi creano inevitabilmente conflitto, comprensibile e legittimo e che è possibile, anche se non semplice, fare in modo che la diversità non si tramuti necessariamente in guerra. La vita di tutti i giorni ce ne offre infinite possibilità.